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Festival Cinema Venezia 2009: recensioni film, interviste

 
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Soderbergh diverte e Stone fa il sudamericano

di Boris Sollazzo

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07 settembre 2009

Tu vuò fa il sudamericano, ma sei nato in America. Si potrebbe parafrasare e cantare il grande Renato Carosone a Oliver Stone, oggi applaudito e acclamato insieme al venezuelano Hugo Chavez. Il suo viaggio neobolivarista ci permette di dare un'occhiata diversa alla nuova sinistra che si è imposta in tutto il continente, con uomini e idee diverse, ma con l'obiettivo di slegarsi dai legacci, soprattutto economici, post-colonialistici e nordamericani. In qualche modo anche un altro grande, Steven Soderbergh, si diverte a giocare con i meccanismi del capitalismo, raccontando la storia di Whitacre, molto genio e ancor più sregolatezza mentale, protagonista di una vicenda di reati e inganni esilarante e inquietante. Infine Cosmonauta: ci porta nello spazio, con ingenuità e dolcezza.

South of the Border- Fuori concorso
Settantacinque minuti, otto stati, un viaggio nell'America del sud che dal 2002 ha cambiato volto e ha cominciato a risalire. In un continente in ginocchio- dall'Argentina al Venezuela, si annegava nell'inflazione e in un'economia a collo di bottiglia in cui multinazionali straniere sfruttavano le grandi risorse locali- una nuova ventata di idealismo (e populismo) ha cambiato le cose. In meglio o in peggio, sono almeno sei anni che se lo chiedono tutti, analisti, politici e giornalisti, cercando differenze, alleanze, somiglianze. Oliver Stone, che alla propaganda della Fox e agli insulti di Bush ha sempre creduto poco, ha deciso di vedere con i suoi occhi come vanno le cose, incontrando questi leader neobolivaristi. Come fece con l'allora isolato Fidel Castro in Comandante e Looking for Fidel nel 2003, il metodo è quello del confronto diretto, partendo ovviamente dal personaggio più controverso e carismatico, il venezuelano Hugo Chavez. "Il dittatore che ha vinto 13 elezioni consecutive" come lo chiama la più moderata argentina Cristina Kirchner, che pur ne critica alcuni totalitarismi. Lo diciamo subito, la chiacchierata pecca di obiettività (i due si trovano simpatici, da ex soldati si intendono), ma porta allo scoperto una nuova ideologia che unisce idealismo e pragmatismo e che cerca una terza via ai sistemi di governo politico ed economico che hanno fallito nel Novecento. Incontriamo anche il boliviano Evo Morales, l'ecuadoregno Correa (quello che disse "Gli Usa vogliono una base militare da noi? Ok, se ne danno una a Miami all'Ecuador"), il vescovo paraguayano Fernando Lugo, a capo di un paese dopo un lungo regime militare di destra e teologo della liberazione, i coniugi argentini Kirchner, il brasiliano Lula. Divulgativo e politico, Stone mostra i progressi di popoli ed economie con l'allontanamento da America e Fondo Monetario Internazionale, le potenzialità di nazioni come Venezuela (terzo produttore mondiale di petrolio) e Bolivia (secondo produttore mondiale di gas) e di un Sud America unito, conquista che tentarono prima Bolivar e poi Ernesto Guevara. Il viaggio della speranza di Stone percorre le tappe di quel cambiamento nei governi di tre quarti del Sud America, chiamato da molti "La rivincita del Che". Interessante, da prendere con le pinze, il più classico dei documentari a tesi. Ma utile per chi cerca controanalisi e controinformazione.
Voto: 8

The informant!- Fuori concorso
Uno Steven Soderbergh d'annata, di scuola, un esercizio di stile come solo uno dei registi più poliedrici e talentuosi degli ultimi trent'anni può sfornare. La storia ricalca quella vera, anche se romanzata, del biochimico Whitacre, ambizioso manager che si ritrova a dover mettere alla sbarra i suoi colleghi facendo l'informatore per l'FBI sui loro loschi traffici nell'ADM, la grande azienda per cui lavora. Cartelli sui prezzi tra concorrenti, corruzione, ricatti, e un uomo investito da qualcosa di più grande di lui, che comincia- un po' alla Tom Cruise ne Il socio (citato in una sequenza), un po' alla Leonardo Di Caprio in Prova a prendermi- a perdere l'orientamento morale e mentale. A interpretarlo un sontuoso Matt Damon (ma anche l'agente Scott Bakula mostra di essere all'altezza) che ci fa ridere e preoccupare, e che riesce insieme al regista (che con il solito pseudonimo di Peter Andrews firma, come sempre, anche la fotografia) a tenerci sul filo di una trama che non si svela fino alla fine. Siamo negli anni '90, epoca di frontiera, storica e tecnologica (gli uffici hanno ancora macchinari obsoleti, ma le prime novità già si fanno largo), Soderbergh è come al solito perfetto nel proporre immagini e storie a orologeria. Il suo genio sta nell'essere un cineasta totale e riuscire ad essere perfetto anche in film come questi, giochi di specchi che in altre mani risulterebbero pleonastici o addirittura inutili. Sempre più contaminato, unisce mainstream e indipendenza con abilità e sa tenere il pubblico incollato alla sedia. Che volete di più?
Voto: 7 ½

Cosmonauta- Controcampo italiano
Dopo Tornatore, in un film piccolo piccolo, almeno per budget, e sempre italiano, si sente di nuovo l'invito anacronistico, da una macchina e da un megafono, "vota e fai votare Partito comunista italiano". Cosmonauta nasce da questa nostalgia canaglia, dalla voglia di raccontare un romantico idealismo popolare (siamo nel quartiere Trullo di Roma) che sapeva guardare al cielo e sognare con le conquiste spaziali russe (i cosmonauti sovietici contro gli astronauti americani), ma non sa fare i conti con le contraddizioni di quel popolo e di quelle generazioni che hanno creduto alla rivoluzione e a un mondo migliore. Che ha soffocato nei propri ideali gli errori, ma soprattutto gli orrori della superpotenza sovietica. Un affresco di vite piccole e grandi speranze, di bambini straordinari e ribelli e di adulti disillusi troppo presto, Susanna Nicchiarelli, sia come regista che come attrice (è la compagna timida e determinata che si fa largo nel maschilismo della sua sezione) ce la mette davvero tutta, ma per mancanza di mezzi e una disomogeneità della sceneggiatura (ottima nei dialoghi, ma discontinua) ci regala un film incompleto e imperfetto. Carino nel suo cercare un'utopia ormai lontana e un paese ancora vivo- assomiglia, nello spirito e in alcune scelte a Mio fratello è figlio unico- ci mostra un'Italia che sapeva sognare (anche Placido, oltre a Tornatore, in fondo sente quest'esigenza), ma la descrizione del microcosmo rosso di quartiere più d'una volta va avanti a sketch, non sempre riusciti peraltro, come le cover illustri di hit del periodo (dal '57 di Laika, passando per Gagarin e finendo ai primi anni '70) che costellano tutto il film. Un film che non rimarrà nella storia del cinema è che merita una visione emotiva, più che critica.
  CONTINUA ...»

07 settembre 2009
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